Apparente antropomorfismo

Esodo 33:18-23

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    עם ישראל חי

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    L'apparente antropomorfismo di Esodo 33:18-23.


    Comuni sono nella Bibbia espressioni figurative e simboliche come "braccio del Signore", "dito di D-o", "mano di D-o" etc. (Ma non solo riferiti alla Divinità perchè ad esempio "per mano di" "la mano di" non sempre sono intese fisicamente, ma spesso indicano figurativamente la causa dell'azione).
    La stragrande maggioranza di queste espressioni fanno parte dello stesso linguaggio biblico, il quale si esprime spessissimo con espressioni figurative e metaforiche. Ad esempio in italiano usiamo la parola: "accanto" per dire "al lato", la corrispondente traduzione in ebraico è "'al yad" o "leiad", che letteralmente significa: "sopra mano","a mano". Le espressioni che contengono la parola yad=mano, nel linguaggio ebraico comune sono numerosissime (al ydei,miyad,etc) come analogamente lo sono le espressioni che contengono il termine "pi"= bocca (lefi, al pi, etc.), anche le parole usate nel nostro capitolo come "panim"="faccia", che nello stesso incontriamo nelle sue varie costruzioni come panai(mia faccia), panav (sua faccia) pnei(la faccia di), nel linguaggio comune sono parte di numerosissime espressioni, ma non solo figurative ma ancor più spesso non sono propriamente figurative perchè fanno parte del normale uso delle parole. Ad asempio le parole mipnei (= a causa di) , lifnei (prima di, davanti a), etc. Sono tutte composte col termine "panim".

    Il termine "panim" (=faccia) in ebraico esiste solo al plurale, ma non è come dire in italiano "facce" perchè esso è un plurale di indefinibilità ed esprime dunque un concetto singolare indefinito pur rimanendo grammaticalmente un plurale. L'indefinibilità la si può intuire per esempio nella moltitudine di lineamenti del viso esistenti nell'umanità.
    Panim però non è solo la faccia dell'uomo ma in senso estensivo anche quella degli animali, degli oggetti e di ogni altra cosa. Panim significa anche "davanti", la parte anteriore di tutte le cose, il suo contrario è achor=dietro, la parte posteriore. Nei seguenti due versi troviamo i due opposti "davanti" e "dietro" :

    " E Ioab, veggendo che la battaglia era volta contro a lui, davanti e dietro," (I Cronache 19:10, trad. Diodati)
    "Gli uomini di Giuda si voltarono indietro, ed eccoli costretti a combattere davanti e di dietro." (II Cronache 13:14, N.Riveduta)
    In italiano si usa dire "spalle" anche per designare la parte posteriore delle cose e in altre traduzioni dei suddetti versi è stato tradotto "spalle" invece di "dietro". Nonostante le parole ebraiche usate siano identiche, la Diodati, nel primo usa "dietro" e nel secondo "spalle", viceversa la N.Riveduta.
    In Ez. 2:10, il terzo verso che riporta gli stessi due contrari, questa volta varie traduzioni sbagliano a leggere il termine, che nel Masoretico è vocalizzato "panim"(=faccia,davanti), leggendolo come se fosse "pnim"(=dentro) di radice del tutto diversa: " srotolò davanti a me; era scritto di dentro e di fuori" (N.Riv.) L'ebraico riporta "panim weachor"in modo perfettamente identico in tutti e tre i versi sopraccitati.
    Non c'è da meravigliarsi se dunque anche in Esodo 33:23 viene tradotto "spalle" anzichè "parti posteriori".
    Nessun luogo della Bibbia, usa il termine "achorai" (=mie parti posteriori, costruzione con suffisso di "achor"=dietro) per designare le spalle umane come organo. Abbiamo solo un verso in tutta la Bibbia riferito a uomini che usa il termine "achor", costruito al plurale, ma non indica le spalle o la schiena come organi corporei ma semplicemente indica ciò che sta loro dietro come direzione, cioè dietro di loro. Il termine ebraico usato è "achorehem"= "le loro parti posteriori" quando è riferito agli uomini è dunque logico tradurre con "spalle" come giustamente traduce la Diodati:
    " che aveano le spalle volte alla Casa del Signore, e le facce verso l'Oriente; " (Ez. 8:16, Diodati);
    ma lo stesso identico termine "achorehem" di I RE , essendo esso questa volta rivolto a buoi lo stesso Diodati traduce con "parti di dietro":
    "e tutte le parti di dietro di que' buoi erano volte indentro."(I RE 7:25 Diodati).
    Il termine che invece designa le "spalle" come parte del corpo umano in ebraico è "Shchem" ed è molto comune nella Bibbia.
    Appurato dunque che i termini "panim" e "achor" non sono nomi di organi umani e che non sempre possono essere tradotti con "faccia", "volto" o "spalle" ci resta ora da capire se il nostro brano di Esodo attribuisce a D-o parti anteriori e posteriori.
    Ma è logico pensare che, il D-o di Israel, spesso definito il "luogo del mondo" , si possano in Esso distinguere parti riconoscibili come in tutte le altre cose?
    Il testo ebraico della Bibbia non può prescindere dall'usare espressioni figurative e metaforiche specialmente quando queste sono riferite alla Divinità perchè esso è l'unico modo per poter parlare di D-o e descrivere le Sue azioni. D-o parla con gli uomini nella lingua degli uomini per farsi da loro comprendere.
    Ora prenderemo in esame i termini usati nel nostro capitolo, che hanno dato luogo ad interpretazioni antropomorfe. A tale proposito citeremo la traduzione italiana di Diodati che più lascia trasparire l'aspetto figurativo di alcune parole.
    Nel testo ebraico il termine "panim"=faccia figura 18 volte in varie forme nel nostro capitolo e nei capitoli adiacenti, nei capitoli da 32 a 34:
    1) "edificò un altare davanti ad esso"(Es.32:5). L'ebraico ha "lefanav"(=alla sua faccia)
    2) "Ma Mosè supplicò al Signore Iddio suo" (es.32:11). L' ebraico ha: "pne ****"(= la faccia del Signore)
    3) "d'in su la terra"(32:12); "faccia della terra" (N.Riv.)
    4) "sopra dell'acqua"(32:20). L' ebraico ha: "al pne hamaim"(=sulla faccia dell'acqua).
    5) " E il Signore disse: La mia faccia andrà," (es.33:14)
    6) " sopra la terra." (es.33:16);" sulla faccia della terra" (N.Riv.)
    7) "Tu non puoi veder la mia faccia" (Es.33:20)
    8) "la mia faccia non si può vedere." (Es 33:23)
    9) "Il Signore adunque passò davanti a lui"(Es.34:6).L'ebraico ha "al panav"(=sulla sua faccia)
    10) "davanti a me "(Es. 34:20). L'ebraico ha "panai" (=mia faccia).


    11) "Tre volte l'anno comparisca ogni maschio tuo davanti alla faccia del Signore" (Es.34.23)
    12) "e quando tu salirai per comparir davanti alla faccia del Signore Iddio tuo"(Es.34.24)
    13) "la pelle del suo viso"(Es.34:29). L'ebraico ha " 'or panav"(= pelle della sua faccia)
    14) "la pelle del suo viso"(Es.34:30). L'ebraico ha " 'or panav"(= pelle della sua faccia)
    15) " in sul viso." (Es.34.33) L'ebraico ha " 'al panav"(= sulla sua faccia)
    16) "E quando Mosè veniva davanti alla faccia del Signore"(Es.34.34)
    17) "la faccia di Mosè," (Es.34.35)
    18) "la faccia di Mosè," (Es.34.35)

    Le espressioni che contengono il termine "panim" riferite a D-o sono chiaramente figurative. Ad esempio "vedere la Faccia di D-o" biblicamente significa presentarsi al Tempio durante le festività ebraiche.
    Il testo ebraico scritto, in Es.34:24 ha: "Lir'ot et pnei **** (=vedere la Faccia di D-o), ma il testo orale Masoretico lo vocalizza come se fosse scritto nella forma passiva: leheraot (=vedersi, come in Deut 3:24)
    Il prof. Izchack Seeligmann nel suo libro. "Mechkarim besifrut hamikrà" (Ricerche nella letteratura biblica, pag.159) afferma che il verbo leraot=mostrarsi (passivo di vedere), vocalizzato dai massoreti come un nifal (coniugazione passiva), in passato era inteso come un kal (coniugazione semplice) , da leggersi dunque: lir'ot (vedere). Ne consegue che l'azione di presentarsi al Tempio, secondo il testo scritto, viene espressa figurativamente come se i fedeli andassero a vedere la "faccia di D-o". La forma verbale passiva "leraot", adottata successivamente dai massoreti, fa assumere alla particella dell'accusativo "et" il senso di "con" cambiando il senso dell'intera frase in: "vedersi con la Faccia del Signore", dove qui "Faccia" è il cospetto del Tempio, simbolo della presenza divina. Come vedremo in seguito anche il verbo "yerau"(=si vedranno) di Es.33.23 ("la mia faccia non si può vedere", trad.Diodati) è vocalizzabile come se fosse "yr'ru"(vedranno):"la mia Faccia non vedrà", nel senso che D-o non vedrà, per giudicare il peccato di Moshè che consiste nella rottura delle prime tavole di pietra divine.

    In sostanza l'apparente antropomorfismo poggia su tre termini interpretati come parti corporee: "panai"(=mia Faccia), "achorai"(=~mie parti posteriori) e "capì" (mia palma della mano;caf, raramente è usato per "mano") e i verbi di radice "avar" (=passare), che apparentemente alludono al movimento corporeo. A ciò si aggiunge la richiesta di Moshè di mostrare la Gloria Divina, interpretata qui come se egli intendesse vedere il volto di un dio antropomorfo. Ma come vedremo fra breve il termine ebraico usato "cavod" e tradotto con Gloria non è giustificabile interpretarlo in tal modo a causa del suo ricorrente uso figurativo. Ma a smontare definitivamente l'interpretazione antropomorfa è proprio l'esame del contesto in cui è inserito il nostro brano che esamineremo più in la.
    Ora prendiamo in considerazione il termine "capì", tradotto con "mano", che contribuisce marcatamente all'interpretazione antropomorfa.
    La traduzione italiana usa il verbo "coprire" con il termine "mano". Leggendo la traduzione pare di capire che D-o sarebbe passato come passerebbe un uomo e, dopo aver messo Moshè dentro una grotta, ne avrebbe poi coperto l'ingresso impedendo in tal modo alla curiosità di Moshè di guardare il "volto divino" e rendersi così accidentalmente reo di morte. Inutile sottolineare quanto sia ridicola una simile interpretazione riferita al D-o di Israel, la cui presenza, secondo molti versi biblici, riempie l'intero universo. Egli siede in Cielo e poggia i piedi sulla terra.

    Il termine "capì" è il costrutto del nome "caf" (letteralmente= parte piatta, palma della mano o pianta del piede). Caf, quando seguito da reghel (=piede) significa "pianta del piede" ed è applicabile sia agli uomini che agli animali, per esempio in Genesi 8:9 è detto che "la Colomba non trovo dove posare la pianta (ebr. Caf) del piede". Il termine "caf" indica anche la parte piatta della coscia, come in Gen 32:26 dove il termine è seguito da ierech (coscia) ed estensivamente indica i genitali. Non solo parti del corpo, ma anche cose che hanno forma piatta come "cappot temarim"(palme dei datteri), "caf ctoret", un arnese d'oro usato nel Tempio dai sacerdoti, anche l'impugnatura della maniglia di una porta (cantico 5:5) è detta "caf", etc.
    L'enciclopedia illustrata della Bibbia in 24 volumi "'Olam ha tanach" (Mondo della Bibbia) aggiunge altri significati al termine "caf" che non sono stati elencati nei dizionari come: "HaMilon haEnziclopedi shel haMikrà"(dizionario enciclopedico della Bibbia) di Avnion e del "Milon ha'Ivrit hamikrait"(=dizionario di ebraico biblico) di Kaddari.
    Secondo questa, caf designerebbe la nuvola e a tal proposito cita alcuni versi che citiamo questa volta dalla traduzione C.E.I:

    "Arma le mani (ebr. capaim=palme, ossia le nuvole) di folgori e le scaglia contro il bersaglio";

    "innalziamo i nostri cuori al di sopra delle mani (ebr. "el capaim" letteralmente: verso le palme [di nuvole]), verso Dio nei cieli. "(Lamentazioni 3:41);

    "Ecco, una nuvoletta, come una mano d'uomo, sale dal mare" (1 Re 18:44)

    Poi, nell'interpretazione in loco, di carattere scientifico, spiega che la "caf" di D-o, ossia "la mia mano" (riferito a D-o) di esodo 33:22-23 designerebbe la nuvola protettiva vista di giorno.
    Ma la dimostrazione che non si tratti della palma di un corpo divino antropomorfo, è proprio il verbo "wesachoti" di radice "sachach" usato sempre per figurare protezione, in particolare protezione divina. Questa radice ha generato anche il nome della costruzione protettiva che stava sopra le mura delle città, come descrive Naum 2:6(5):
    "Si fa l'appello dei più coraggiosi
    che accorrendo si urtano:
    essi si slanciano verso le mura,
    la copertura di scudi (ebr. sochek) è formata." (Naum 2:6, C.E.I.).
    In nessun altro luogo della Bibbia figura il termine "caf" nel modo in cui è usato nel nostro brano e dunque deve necessariamente essere interpretato figurativamente come tutte le altre volte in cui figura il verbo di radice sachach.
    Di consueto però il verbo di radice sachach è usato con canaf (ala, per esempio di uccello) ed è bene notare che probabilmente il nostro brano con caf(palma) intende canaf (ala) in accadico infatti per indicare le due cose è usata lo stesso termine kappu.
    Con caf (plurale: cappot; duale: capaim) si intende qualcosa che ha estensione superficiale e come indica le palme di datteri (ebr. cappot temarim) potrebbe indicare anche l'ala di un uccello (la cui struttura geometrica è simile). Caf potrebbe anche essere la forma assimilativa di canaf col decadimento della nun. Per esempio, in Geremia 2:34 l'ebraico riporta : cnafaim (duale di canaf=ala, angolo), ma la LXX traduce come se vi avesse letto capaim (Εν ταις χερσι σον), anche altre traduzioni hanno fatto lo stesso (fra cui la Peshitta).
    In Salmi 91:4 è figurata la protezione divina con l'uso di un verbo di radice sachach, canaf e un suo sinonimo:
    "Egli ti farà riparo colle sue penne, E tu ti ridurrai in salvo sotto alle sue ale; La sua verità ti sarà scudo e targa. (Diodati)
    Anche con "nuvola" è usato il verbo di radice sachach: סכותה בענן לך מעבור תפלה
    Tu hai distesa una nuvola intorno a te, Acciocchè l'orazione non passasse. (Lam 3:44 Diodati)
    C'è però da puntualizzare che il verbo "wesachoti" del nostro brano è scritto con "sin" e non con samech.
    In Giobbe 10:11 il verbo di radice sachach è inteso come "tessere" ed è tradotto con "mi intessevi ":
    " Mi vestivi di pelle e carne
    E mi intessevi di ossa e tendini." (TNM)

    In questo verso di Giobbe, nel Koren (il testo scritto tradizionale) e nel codice Aleppo (foglio 272, lato b, II colonna, riga 18) questo verbo è scritto con Sin, il Leningrado invece lo riporta con Samech. Segno questo che la Shin di questo verbo era letta come Sin, che ha fonetica simile alla samech.
    In alcuni termini ebraici la sostituzione delle lettere con altre che hanno fonetica simile non comporta differenza di significato, in altri invece si.
    La pronuncia della lettera shin (si può pronunciare nei due modi: shi e si) è stabilita dal sistema di punteggiatura del TM, che è una tradizione orale, ma il testo scritto, lo si può leggere anche in base al contesto. Quando vediamo una Shin scritta nella Toràh (che non contiene la punteggiatura vocalica), non sempre sappiamo con certezza se si tratti di una שׁ (shin, nel TM ha il puntino in alto a destra) o di una שׂ (sin, nel TM ha il puntino in alto a sinistra) e dobbiamo dedurre ciò dal contesto.
    Ora il verbo "וְשַׂכֹּתִי"(wesachoti) di radice "שכך" (sachach) è vocalizzato nel TM come Sin ed interpretato come di radice "סכך" (sachach=, scritto con samech). Ma nella Bibbia, esso non ricorre mai scritto con sin tranne tre casi:
    1) quello del nostro brano di Esodo,
    2)il caso di uso anomalo di Giobbe 10:11 (tessochcheni) dove è interpretato come "tessere" (riportato pocanzi) e
    3)un'altro di uso simile in salmi 139:13 (tessuccheni).
    Mentre il secondo è difficilmente interpretabile nei sensi di coprire/proteggere, il terzo invece è interpretabile nei due modi: tessere o proteggere/coprire.

    La CEI traduce salmi 139:13 con:
    "mi hai tessuto nel seno di mia madre"

    e la TNM con:
    "Mi tenesti coperto nel ventre di mia madre"

    La LXX presenta una variante:"dal ventre"(εκ γαστρος).

    Oltre ai tre verbi di cui sopra, della stessa radice (scritta con Sin), abbiamo solo altri tre nomi comuni cui sono stati attribuiti i sensi di "spine" e "tronchi di alberi" (con rami intrecciati o ricchi di foglie) che sono importanti per stabilire il senso base della radice a cui appartengono come vedremo prossimamente.

    Nel seguito di questa trattazione, quando esamineremo il testo parola per parola prenderemo in considerazione anche la possibilità che il verbo "wesachoti" di Esodo 33:22 sia stato originalmente pronunciato con shin, invece che con Sin, acquistando così un senso del tutto diverso, quello della radice shachach="calmarsi".

    Per ora parliamo delle due radici di fonetica "sachach" ma scritte diversamente: l'una con Sin e l'altra con Samech.
    Dal confronto di alcune parole si può risalire all'etimologia di un dato termine (sempre che ciò sia possibile). Si può intuire una certa somiglianza di base fra la serie di significati espressi da questa rara radice scritta con Sin e quelli espressi dalla ricorrente radice scritta con Samech. Pare che le due serie di termini abbiano in comune il senso generico di base: "unità composta da una moltitudine di elementi o ramificazioni".
    Il prof. Kaddari, nel suo dizionario riporta, seppur con incertezza, il senso di "grande moltitudine" alla parola "sach" (con samech) messa chiaramente in relazione con la radice "sachach" (con samech) da Rashi nella nota al verso di Salmo 42:5. Il senso base del gruppo scritto con samech pare sia: "coprire per proteggere con qualcosa composto da un insieme di elementi o intrecci". Della radice sachach (con samech) fanno parte i termini Succàh e schach. La Succà (capanna, costruita durante la festa di "succot"=capanne) ha il tetto chiamato schach ed esso deve rigorosamente essere costruito da intrecci vegetali. Questo tetto non è dunque impermeabile, non può essere completamente coperto ed essendo fatto da intrecci fà trasparire la luce di giorno e permette di vedere le stelle di notte. Il senso dunque espresso da questa radice non è quello di "coprire per impedire di vedere attraverso" e pertanto in Esodo 33:22, seppur scritto con Sin, non può avere nemmeno questo senso dato che gli si riconosce tale equivalenza a quelli scritti con Samech.
    In sintesi, dunque, il senso stabilito da traduttori, interpreti e vari commentatori è basato su un termine classificato come corrispondente oltre che usato in modo anomalo e per di più di significato incerto (come vedremo meglio prossimamente).
    Portiamo ora due esempi classici di verbi di radice "sachach" (con Samech dato che con Sin abbiamo solo quei tre di cui abbiamo già parlato): Uno è "sochchim", quello usato per esprimere la funzione di protezione svolta dalle "ale" dei cherubini sopra il coperchio dell'arca del Patto :

    "Ed erano cherubini che spiegavano due ali verso l’alto, coprendo il coperchio con le loro ali," (Es. 37:9, TNM)

    L'altro è "wesachota", quello usato per esprimere la funzione di protezione della Parochet, la tenda che copriva l'accesso al Santo dei Santi:

    "3 E devi mettervi l’arca della testimonianza e chiudere l’accesso all’Arca con la cortina."(Es. 40:3, TNM)

    La Mishnàh (Shekalim 8:5) riporta le dimensioni di questa tenda, detta Parochet, la cui complicata costituzione aveva la struttura consistente in 72 corde, che intrecciandosi a rete avevano maglie tali da permettere la visione del Santo dei Santi. Anche qui dunque, il verbo di radice sachach è usato per esprimere l'azione di copertura/protezione di un'unità composta da un intreccio e vari altri elementi.
    Lo stesso doveva essere analogamente anche per i misteriosi "cherubini" dell'Arca, che non potevano essere delle raffigurazioni (chiaramente proibite dalla Toràh). Si trattava invece probabilmente di un sofisticatissimo sistema di protezione, che impediva di aprire il coperchio dell'Arca. Questa infatti aveva il compito di custodire cose carissime e pericolose, fra cui le carissime Tavole del Patto e il miracoloso Shettro divino, che secondo il Midrash era una potentissima arma. Il re Salomone fece inoltre costruire, accanto all'Arca, altri due cherubini, la cui portata delle "ali" proteggeva l'intero spazio del Santo dei Santi. Dato che il nostro verbo in esame esprime protezione ed è usato con sistemi ad intreccio, non si può fare a meno di considerare i moderni sistemi di allarme comuni negli importanti musei e negli scompartimenti delle cassaforti delle Banche. Sistemi appunto fatti ad intreccio di raggi infrarossi. Consueto poi che le casseforti (analogamente come l'arca), i loro magazzini, le varie porte (analogamente come la Parochet) e lo spazio dove sono contenute, abbiano degli allarmi separati.
    La "Parochet" o in italiano "Cortina" (come traduce la TNM), essa aveva il compito di chiudere l'accesso al Santo dei Santi. Essa era anche "cheruvim" (attributo plurale indefinito) ossia protettrice, anche le porte e i cancelli hanno i loro sistemi d'allarme separati.
    Il nome "Parochet" lo si può spiegare confrontandolo con l'accadico "paraku" il cui senso è "bloccare la strada", qualche volta l'accadico usa anche il termine "pariktu" (derivante da "paraku" e con fonetica molto simile a "Parochet"), il cui senso è: "barricata", "parete divisoria".

    Solamente i seguenti due versi contengono verbi di radice "such" (scritta con Sin) variante di "sachach", che esprime protezione con il senso di chiudere con un recinto:

    1) “Perciò, ecco, cingo di spine la tua via; "(Hoshea 2:8(6); TNM).

    2)" Non hai tu stesso posto una siepe attorno a lui e attorno alla sua casa e attorno a ogni cosa che ha tutt’intorno? "(Giobbe 1:10, TNM)


    Il verbo di quest'ultimo, שכת (sachta=hai protetto chiudendo) è quello che avrebbe dovuto usare il nostro brano di Esodo per esprimere protezione chiudendo l'ingresso della "grotta". Il verbo "wesacoti" è scritto ושכתי e leggendolo direttamente dalla Toràh (senza l'ausilio del TM) lo si leggerebbe "wesachti", della stessa radice "such" , perchè si sarebbe influenzati dal contesto individuato, cioè la chiusura dell'ingresso della grotta, fosse pure per impedire a Moshè di affacciarsi a guardare... come vuole quella ridicola interpretazione. Wesachti invece che "wesacoti" della forma anomala e non ricorrente della radice Sachach scritta con Sin, perchè come abbiamo detto, la forma ricorrente è quella scritta con Samech e si vuole forzatamente intendere questo verbo come se fosse scritto con Samech, ma senza alcuna dimostrazione di altre ricorrenze bibliche. Le uniche prove sarebbero la fonetica adottata dal TM (non dunque il testo scritto) e le varie traduzioni posteriori.

    Ma a questo punto sorge la domanda: Perchè i massoreti non adottarono la fonetica "wesachti" che esprimerebbe perfetamente quel contesto?


    Se esiste già un verbo scritto con Sin, perchè allora vocalizzare il termine come se esso fosse scritto con Samech?

    In ogni caso entrambi i verbi hanno senso di "proteggere" e non propriamente dalla vista, altrimenti si sarebbero usati altri verbi di radice del tutto diversa e compatibili con il complemento oggetto "capi"(mia palma della mano).

    Con molta probabilità il verbo è da leggersi con Shin e non con Sin, come abbiamo già accennato precedentemente, cioè : weshicoti (calmerò) dato che questo ha la fonetica più simile a "wesicoti" e la tramandazione orale del TM, col trascorrere del tempo, lo ha potuto trasformare in Sin, probabilmente influenzato dal verbo "wehasiroti" (toglierò): e all'azione del togliere si è fatta precedere l'azione inversa del porre ( la "palma" della mano divina per poi successivamente toglierla).
    I targumim Unkelos e pseudoYonathan tradussero con "weaghen" (= proteggerò) il nostro verbo ebraico "wesacoti". Non solo ma aggiunsero altri termini esplicativi ben lontani da ogni antropomorfismo.
    Riportiamo l'antichissima traduzione aramaica di Esodo 33:22 presa dal Targum pseudoYonathan:

    ײויהי במיעיבר יקר שכינתי ואישוינך באספלידא דטינרא ואגין במימרי עלך עד זמן דאעיבר

    Che traduco qui di seguito: e avverrà nel passare della Gloria della Mia presenza ti metterò nella spaccatura della roccia e ti proteggerò con la Mia Parola fino al tempo in cui passerò.

    Il termine "spaccatura" nel targum aramaico è " אספלידא" (ispelida) un termine raro, la cui etimologia si è tentato di spiegare in vari modi. Secondo alcuni si tratta di un'assimilazione dal greco: σπελαδιον (speladion) da σπελαιον (spelaion=grotta) oppure σπελιδιον (spelιdion=simile a grotta, a forma d'arco). Altri invece propongono il termine πσαλιδιον (psalidion=negozio, capanna).

    Il Targum usa questo termine solo in Esodo 33:22. In altri luoghi traduce con il termine aramaico מערתא (meartà=grotta) tutte le altre ricorrenze del termine ebraico "מערה" (mearà=grotta). Il Targum della Toràh (Pentateuco) ha usato questo termine particolarmente per tradurre il termine " נקרת" (nikràt) da נקרה (nikrà=spaccatura o copertura), unica ricorrenza nei cinque libri della Toràh. Pertanto si può solo ipotizzare che questo termine intende "spaccatura" della roccia.
    Nei profeti ricorre un'espressione simile a quella di Esodo 33:22 "בנקרת הצור" (beNikràt haZur), ma questa volta al plurale: " בנקרות הצרים" (beNikrot haZurim, Ishaia 2:21) e qui il Targum Yonathan traduce con "במערת טנריא" (biMearat tinraià). Qualche verso prima traduce allo stesso modo anche l'espressione ebraica:" במערות צרים"(biMearot Zurim=nelle grotte di rocce, Ishaia 2:19). Qui il Targum usa lo stesso termine aramaico "meartà"(=grotta) indifferentemente per i due ben distinti termini ebraici "mearà"(=grotta) e "nikrà"(=spaccatura, copertura).
    Un termine aramaico simile all'ebraico "nikrà" lo ritroviamo solo una volta nel Talmud: "נקרתא"(nekarta=tunnel), per designare il sottopassaggio costruito da Marco Aurelio Antonino, che dal suo castello portava fino all'abitazione di un famoso rabbino (AZ 10b).
    La LXX, in Ishaiah 2:19 traduce con σπήλαια (spelaia=grotta).
    In Ishaia 2:21 traduce invece con "τρώγλας τῆς στερεᾶς πέτρας" l'espressione ebraica " בנקרות הצרים" (beNikrot haZurim). La Vulgata ha: "fissuras petrarum".

    La LXX in Esodo 3:22 ha: " ὀπὴν τῆς πέτρας " (open tes petras), la Vulgata invece riporta: " foramine petrae".

    Il dizionario aramaico-ebraico "Milon aramì-'ivrì" di Ezra Zion Melamed, alla voce " אספלידא" (ispelida) riporta: מערה, אכסדרה (mearà=grotta, acsadrà=sala); ma il senso di grotta questo dizionario lo deduce dal greco: σπελαδιον (speladion) da σπελαιον (spelaion=grotta) come riporta in una nota in calce.

    Krupnik e Silberman nel loro dizionario del Talmud, Midrash e Targum, alla voce
    " אספלידא" (ispelida) riportano: "אולם" (ulam=sala), Halle, Hall.

    Secondo Rashi in loco l'ebraico "בנקרת הצור" (beNikràt haZur) è da intendersi con: "spaccatura della roccia", anche in altri due luoghi della Bibbia lo conferma nel contesto di altre note. Nel capitolo successivo, invece, nella nota di Esodo 34:29 lo intende come "מערה"(mearà=grotta).
    Anche il Targum Unkelos traduce con "במערת טנרא" (biMearat tinra=grotta della roccia)
    Ma il termine aramaico " אספלידא" (ispelida) del Targum pseudoYonathan lo ritroviamo anche nel Talmud e nel Midrash.
    Secondo Rashi nella nota in Baba Batra 7a "ispelida" significa: "טרקלין יפה " (tarklin iafè=sala grande e bella).

    Nel Midrash Rabbà di Ester (terza parashà) nel commento di Ester 1:9 " איספלידא" (ispelida) è la "בית המלכות" (bet hamalcuta=reggia,palazzo reale):
    "9 Inoltre, Vasti la regina tenne essa stessa un banchetto per le donne nella casa reale che apparteneva al re Assuero" (Ester 1:9 TNM).
    Se prendiamo questa via interpretativa e l'aramaico "ispelida" è una "gran bella sala" ossia una costruzione umana, ora dobbiamo vedere se ciò combacia con l'originale ebraico "nikrà".
    Il termine ebraico "nikrà" in questo caso significherebbe "costruzione con tetto", si noti per esempio l'uso del verbo " המקרה"(hamekarè) da "מקרה"= costruente a tetto):
    "המקרה במים עליותיו " (haMekarè bamaim 'aliotav) che fra le sue interpretazioni sceglieremo quella della CEI che fà al nostro caso:
    "Costruisci sulle acque la tua dimora" (Salmi 104:3, CEI).
    "Mekarè" è di coniugazione piel, di radice "karà" e il nifal (coniugazione riflessiva) di questa è "nikrà"(="si costruì a tetto") che se usato come nome, significa "costruzione con tetto". Pertanto "nikrat haZur" significherebbe: "Costruzione della Roccia" per alludere al futuro Tempio di Gerusalemme costruito appunto sopra una particolare e misteriosa "Roccia".
    La radice "karà" si fonda sul termine "kar"=fresco e "hamekarè" significa letteralmente: "ciò che causa il fresco" e in kohelet 10:18 " המקרה"(hamekarè=il tetto) è il tetto della casa perchè questo appunto causa il fresco, l'ombra dal Sole. Della stessa radice abbiamo anche il termine "korà" che è la trave su cui poggia il tetto e "haMekarè" è anche il "costruttore del tetto". Ne conviene che il passivo "nikrà" significa anche "ciò che è coperto" cioè "copertura". Pertanto "nikrat haZur" potrebbe anche significare: "Copertura della Roccia".
    Nel contesto del Targum pseudoYonathan (che riporterò a suo tempo) pare che con " אספלידא" (ispelida) l'autore abbia voluto intendere "la sala reale", cioè il Tempio divino.
    Anche secondo il dizionario di Reuven Alcalay " אספלידא" (ispelida) è una imponente sala che generalmente ha delle colonne.
    Una strana coincidenza vuole che anche la Moschea di Omar, costruita sopra le rovine del tempio di Gerusalemme, abbia un nome simile: "Kubat E-Zahhra" che in arabo significa: Cupola della Roccia. Questa cupola poggia su delle colonne erette intorno alla Roccia, che secondo la tradizione ebraica, oltre ad essere il fondamento del Tempio, è il luogo dove fù legato Isacco per essere sacrificato ed è anche l'obellico del mondo, la pietra miliare, il luogo della creazione di Adamo, primo uomo della Storia e fondamento dell'umanità. Secondo il Talmud ha un cunicolo profondissimo e secondo la Bibbia il monte del Tempio, alla fine di questa era, si spezzerà in due a causa di fenomeni endogeni per poi essere innalzato più di tutti gli altri monti della Terra.
    Secondo il Midrash da questa "Roccia", chiamata "pietra miliare" (ebr. "even haShtià") fu stirata la crosta terrestre ed essa è l'obellico del mondo(pirkei r.Eliezer ), su di essa fù posta una stele da Giacobbe (Gen.28:22) che ne segna il luogo, da qui anche il nome di "Sion" dall'ebraico "Zion" da "Ziun" (=segno, contrassegno).
    Secondo un'antica lettura del Genesi, la prima parola "bereshit" (=in principio) significa anche "barà shit" ossia "Costruì un fondamento" (ebr. "Shit") riferito proprio alla "even hashtià" (=pietra miliare, "shtià" da Shit=fondamento). Questa pietra miliare è il principio della Creazione e su di essa poggiava il Tempio Divino con Erez Israel. Al centro di questa pietra vi poggiava l'Arca del Patto i cui cherubini proteggevano le Tavole di Pietra come analogamente i cherubini del "gan Eden" proteggevano il suo ingresso. Le tavole di pietra sono il fondamento del popolo di Israel come la pietra miliare è il fondamento del mondo.
    Abbiamo dunque due tipi di pietra una che sta in basso, la pietra miliare e l'altra sta sopra di essa ed è la Stele che ne contrassegna il luogo.
    Nel nuovo testamento è attribbuito un significato analogo:
    Il Cristo sarebbe la pietra miliare ed egli impone il nome di "Kefa"(aram. =pietra) al suo rappresentante Simone che diviene il fondamento della Chiesa Cristiana. La vera pietra però, secondo il NT rimane Cristo ed egli, secondo la teologia cristiana è "la Parola". Ne conviene che Pietra = Parola e questa equazione la useremo fra breve per spiegare la misteriosa interpretazione del Targum pseudoYonathan.
    “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” (Giov. 1:42,TNM)
    "Tu sei Pietro, e su questo masso di roccia edificherò la mia congregazione"(Mt 16, 18, TNM)
    Pietro viene dal greco " ΠΕΤΡΟΣ " il maschile di " ΠΕΤΡΑΣ " e questi sono anche i due termini usati nel NT. " ΠΕΤΡΑΣ "(petras) traduce l'aramaico "כיפא "(kefa) ed esso è lo stesso termine che usano i targumim per tradurre l'ebraico "צור " (Zur) e un suo sinonio "סלע "(sela' )
    La frase detta a Pietro ha le sue antiche basi nell'espressione di Giacobbe quando egli pose la Stele per il fondamento del Tempio di Gerusalemme:
    " E questa pietra che ho eretto come colonna diverrà una casa di Dio, e in quanto a ogni cosa che mi darai te ne darò immancabilmente la decima [parte]”" (Gen.28:22 TNM)
    Per ricercare l'etimologia dei termini ebraici arcaici si confrontano questi con quelli delle altre lingue semitiche in special modo l'aramaico, lingua molto vicina all'Ebraico.
    Prima abbiamo cercato di confrontare la parola ebraica " נקרה", "nikrà", con l'aramaica "נקרתא", "nekarta" (=tunnel) leggibile anche "nikrata". L'ebraico "nikrà" è anche stato spiegato attraverso un verbo ebraico, il cui senso allude allo "scavare con l'asportazione di materiale" e questo risultato è lo stesso ottenuto col confronto col suddetto termine aramaico.
    Ma abbiamo stabilito che il termine "nikrà", essendo unico nel Pentateuco, esso si distingue dal termine "mearà"(=grotta) perchè tradotto in aramaico con una parola anch'essa unica: "ispelida", anche se non sappiamo il suo vero significato.
    Ora azzarderemo un'ipotesi confrontando il termine aramaio "כיפא "(kefa=pietra) con l'ebraico "כיפה"(kippà=cupola).
    In precedenza abbiamo esposto un solo aspetto del termine "כף" (caf) il quale indica generalmente qualcosa che ha estensione superficiale, che può essere piatta oppure incurvata o che provoca l'incurvarsi. Esso, come il temine"כיפה" (kippà) è di radice "כפף" (cafaf), che significa letteralmente "incurvare". "kaf" , la palma della mano, da piatta può incurvarsi e contenere qualcosa; una maniglia di una porta provoca l'incurvarsi e un arnese sacerdotale ha la forma di cucchiaio. Anche Kippà ha dei sensi simili: Kippà significa anche Cupola e la "Cupola della Roccia" in ebraico è detta "kippat haSela". Il termine aramaico Kefa (=pietra) ha anche lo stesso senso, ma esso può indicare, oltre che una pietra che presenta incurvature, anche quelle di qualunque altra forma. Anche il termine italiano "pietra", originalmente significava "pietra quadrata", ma oggi indica pietre di qualunque forma. L'aramaico Kefa è scritto in modo molto simile all'ebraico Kippà e anche questo potrebbe indicare una pietra a forma di cupola.
    La Kippà sarebbe il parallelo di Mazzevà, cioè la stele, la pietra superiore, il monumento che contrassegna (Ziun) il luogo del Tempio per conservarne il ricordo nei secoli avvenire. Anche Pietro, la pietra superiore diviene il custode della fede cristiana che consiste principalmente nel credere nel Cristo, la pietra miliare. "Nikrat haZur" è dunque il monumento di pietra e simbolicamente è il rifugio fortificato di Moshè. Anche il termine Mazzevà, la stele di Gen.28:22 designa una fortezza e come spiegato da Radak nella nota a Ezechiele. 26:11 è una "torre alta usata come rifugio miltare" simbolo anche del controllo.
    Come Moshè, anche Pietro, cioè Kefa è una masssima autorità, la Kippà.
    "כיפה"(kippà) in ebraico indica la massima autorità governativa come diremmo in italiano "vertice". Questo senso figurativo non si fonda sull'omonimo "kippà" che indica la sommità degli alberi, specialmente la palma ("E nulla gioverà all'Egitto di quello che potran fare il capo o la coda, la palma o il giunco." ,Ishaiah 19:15, Luzzi); ma è proprio uno dei sensi di questa radice kafaf: "che causa l'incurvarsi" che in questo caso è il prostarsi dei sudditi. Il targum in loco di Ishaiah 19:15 traduce kippà con "shilton"=governo.
    Il termine kaf nella Bibbia è spesso usato con questo senso. Riportiamo un esempio:
    " ופדתיך מכף ערצים " (ufiditikha mikaf arizim=" ti redimerò dalla palma dei tiranni", ger. 15:21 TNM)
    Un'espresione simile a quella di Esodo 33:22, ma con l'uso di un altro verbo, è quello di salmi 139:5 : "ותשת עלי כפכה " (watashet allai kapekha=mettesti su di me la tua palma) e questa espressione figurativa significa: "mi governasti".
    Pietro-Kefa-Kippà è il custode della fede in Cristo-Kefa-Parola.
    Il corrispondente ebraico di kefa=pietra è Kef ed esso si scrive in modo del tutto identico al termine kaf=palma: "כף" (kaf=palma); "כף" (kef=pietra)
    In Deut. 4:13 "לחות אבנים "(luchot avanim=tavole di pietre) il targum Unkelos traduce "לוחי אבניא " (luchè avnaià). Lo stesso termine aramaico"אבניא "(avnaià=pietre) traduce l'ebraico "כפים" (kefim=pietre) come in Giobbe 30:6: "חרי עפר וכפים " (chore afar wekefim=buchi di polvere e pietre) dove il Targum aramaico traduce:"בנקירתא דעפרא ואבניא" (binkirata de'afra weavnaià= nei buchi di polvere e pietre).
    In Ger 4:29 l'ebraico "כפים" (kefim=pietre) è tradotto con l'aramaico "כיפיא"(khefaià=pietre) il purale dell'aramaico"כיפא "(kefa=pietra) .
    Pertanto il termine di Esodo 33:22 "כפי"(kapì="mia palma della mano") è leggibile anche: "כפי"(kefai=mie pietre) alludendo alle tavole di pietra, che contengono la Parola di D-o.
    Il figurativo kaf, nel senso di governare e kef nel senso di pietra sono entrambi interpretabili come: la Parola. Ciò giustifica i targumim che in Esodo 33:22 traducono l'ebraico"כפי" (kapì=mia palma) con "מימרי" (memrì=mia parola). Pocanzi abbiamo detto che l'aramaico "כיפא "(kefa) traduce l'ebraico "צור " (Zur), che è il termine della nostra espressione "נקרת הצור"(nikrat haZur) che abbiamo ipotizzato con "cupola della Roccia" che in ebraico è detta: "כיפת הסלע"(Kippat haSela). Il termine "סלע "(sela' ) è chiaramente equivalente a "צור " (Zur) perchè la stessa roccia da dove lo shettro divino consegnato a Moshe fece uscire l'acqua è detta Zur in Esodo 17:6 e Sela in Numeri 20:8.
    Zur è anche uno degli attribbuti divini come vedremo prossimamente. Siamo quasi alla fine della raccolta degli elementi basilari che ci introdurranno alla trattazione del cuore del nostro tema di Esodo 33 interpretato erroneamente come un antropomorfismo.
    Abbiamo ora la figura di Moshè dentro un rifuggio di pietra, qualunque esso sia e qualunque forma esso abbia e che viene costituito come Capo e legislatore del popolo di Israel. Infatti il termine "ושמתיך"(wesmtikha=ti porrò, ti preporrò) usato con Nikrat haZur significa anche preporre, costituire una carica governativa. Questo insieme di significati sono contenuti nel nostro brano e li rimetteremo insieme quando esamineremo la traduzione letterale e le varie possibili letture, effettuate a prescindere dal TM e confrontate poi con altri brani biblici simili e con le antiche interpretazioni.
    Nel nostro capitolo in Es.33:18 Moshe chiede a D-o di mostrargli la sua Gloria:
    " ויאמר הראני נא את כבדך "
    "18 Mosè disse: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!»"( N. Riv.);
    "Gli disse: «Mostrami la tua Gloria!»."(CEI)
    La mancata comprensione di questa richiesta apre l'assurda interpretazione antropomorfa, come se Moshè avesse avuto la pretesa di chiedere di vedere D-o, di vederne il "corpo". Ma perchè Moshè avrebbe chiesto di vedere D-o quando insieme a lui lo avevano già visto tutti gli anziani di Israel?
    Una decina di capitoli prima, lo stesso libro dell'Esodo narra quanto segue:
    "9 Poi Mosè, ed Aaronne, e Nadab, e Abihu, e settanta degli Anziani d'Israele, salirono. 10 E videro l'Iddio d'Israele; e sotto i piedi di esso vi era come un lavorio di lastre di zaffiro, risomigliante il cielo stesso in chiarezza. 11 Ed egli non avventò la sua mano sopra gli Eletti d'infra i figliuoli d'Israele; anzi videro Iddio, e mangiarono e bevvero."( Esodo 24:9-11, Diodati)
    Se anche questi versi vengono interpretati antropomorficamente allora i conti non tornano nemmeno ricorrendo a fantasiosi artifici.
    Ma la Gloria del Signore (ebr. kevod ****) l'aveva già vista ancor prima tutto il popolo di Israel:
    "6 Mosè e Aaronne dissero a tutti i figli d'Israele: «Questa sera voi conoscerete che il SIGNORE è colui che vi ha fatti uscire dal paese d'Egitto. 7 Domattina vedrete la gloria del SIGNORE, poiché egli ha udito i vostri mormorii contro il SIGNORE. Quanto a noi, che cosa siamo perché mormoriate contro di noi?» 8 E Mosè disse: «Vedrete la gloria del SIGNORE quando stasera egli vi darà carne da mangiare e domattina pane a sazietà; perché il SIGNORE ha udito le lagnanze che voi mormorate contro di lui. Noi infatti, che cosa siamo? I vostri mormorii non sono contro di noi, ma contro il SIGNORE»."(es. 16, N.R.)
    Le lamentele del popolo all'esaurirsi del cibo portatosi dall'Egitto hanno costretto la profezia ad una dimostrazione pratica, tangibile, che dovette dimostrare senza alcun ombra di dubbio che era D-o il vero Condottiero del popolo e non Moshe ed Aharon.
    Ma il vedere la Gloria del Signore consistette principalmente nel mostrare la Sua Grazia procurando buon cibo in un deserto di morte, nonostante le lamentele del popolo, la cui ingiustificata carenza di fede era vista da Moshè ed Aharon come un insulto alla Divinità, che aveva già mostrato in modi inequivocaboli la Sua provvidenza.
    Vedere la Gloria di D-o significò dunque vedere la grandiosità delle sue opere, ma ancor più cogliere la profondità delle Sue alte qualità morali spesso irragiungibili e per tale ragione male interpretati dall'impazienza e piccolezza umana.
    Ma la Gloria di D-o non era visibile solo nelle grandi opere della liberazione d'Egitto e nei miracoli della Manna e delle quaglie nell'aridità del mortale deserto; ma la Sua provvidenza e guida erano ben visibili nella presenza di una strana nuvola:
    " Mentre Aaronne parlava a tutta la comunità dei figli d'Israele, questi volsero gli occhi verso il deserto, ed ecco la gloria del SIGNORE apparire nella nuvola. " (Esodo 16:10 N. Riv.)
    Come si evince da questo verso la Gloria del Signore non è il Signore Stesso, ma è un suo mezzo, una Sua manifestazione. D-o mostra al popolo che Egli è presente, che lo dirige, è la Sua Grazia a mostrare visivamente che il popolo non deve temere nulla di male perchè nelle mani di D-o.
    Anche la "palma di D-o" secondo Rav. Saadia haGaon, il compilatore del primo dizionario ebraico, è la nuvola della Gloria. Dunque non sono stati per primi i professori delle università israeliane ad interpretare la "palma di D-o" del nostro brano di Esodo con la nuvola della Gloria, come abbiamo esposto precedentemente citando l'enciclopedia "Olam haTanach". Anche lo scienziato rav. Levi ben Gershom (RALBAG), Ibn Ezra e Malbim avevano inteso allo stesso modo. Secondo questi antichi commentatori kaf significa "nuvola" ed è il parallelo di kevod**** (=Gloria del Signore). A tal proposito è interessante notare che nei loro commenti al verso di Giobbe 36:32 (dove figura il termine "kaf" al plurale) Ibn Ezra e Ralbag, per sostenere che si tratta di nuvole, portano come prova proprio il nostro verso di Esodo 33:22. Doveva dunque essere chiaro ai loro dintorni che l'accoppiamento di "caf" col verbo "wesachoti" non può altro che dare il senso di "nuvola" al termine "caf".
    Pertanto il termine "Kevodì" (kavod+i=Mio Onore, Mia Gloria) di Esodo 33:22 è dunque interpretabile anche come un sinonimo di "capì" (caf+i=Mia palma, Mia nuvola) come vedremo quando prenderemo in esame le varie possibili letture ed interpretazioni.
    Ma il lettore ebreo, che legge direttamente dall'ebraico non potrà fare a meno di notare che I termini del nostro brano tradotti con "gloria" sono scritti in ctav chasser (=scrittura incompleta) cioè senza la wav che segna la presenza di una vocale lunga come di consueto nel resto delle ricorrenze come a esempio in Genesi 45:13 e Ishaiah 48:11. In tutto sono solo 12 le ricorrenze in ctav chasser in cui la tradizione orale del TM ricorda come Kavod= Onore, Gloria invece di Koved=durezza o kaved=pesante, ostinato, potente, in confronto alle altre 179 volte in cui questo termine ricorre in ctav malè (=scrittura completa).

    Così interpreta il Midrash Tanchuma (parashat wayerà) i due opposti
    di Numeri 23.19:
    1) "לא איש אל ויכזב " non è uomo D-o e non mentirà
    2) "ההוא אמר ולא יעשה " quello disse e non farà"
    (1) = Quando D-o promette del bene: non è come un uomo che promette un regalo al figlio e poi quando esso lo fa arrabbiare annulla la promessa. Il Signore invece promette di fare del bene e anche se i suoi figli peccano non si pente del regalo promesso.
    (2) =Ma se invece D-o minaccia una disgrazia ed il popolo si pente, Egli ritira la Sua minaccia. " Quello disse e non farà".
    IN Es. 23 20 è detto che D-o manda il suo mal'ach davanti al popolo per custodirlo durante l'esodo e portarlo nel luogo che ha preparato.
    Tale promessa non venne annullata malgrado il gravissimo peccato del vitello d'oro e viene rinnovata in questi termini:
    "1 Il Signore parlò a Mosè: «Su, esci di qui tu e il popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, verso la terra che ho promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: Alla tua discendenza la darò. 2 Manderò davanti a te un angelo e scaccerò il Cananeo, l'Amorreo, l'Hittita, il Perizzita, l'Eveo e il Gebuseo. 3 Va' pure verso la terra dove scorre latte e miele... Ma io non verrò in mezzo a te, per non doverti sterminare lungo il cammino, perché tu sei un popolo di dura cervice»." (Es.33, CEI)
    D-o annuncia che la promessa, nonostante l'avvenuta trasgressione, sarà mantenuta, ma il popolo non sarà esente da punizione ed oltre alla peste, gli viene inflitta la punizione più grave: l'abbandono divino, il distacco, la mantenuta distanza. D-o minaccia di non rimanere più col Suo popolo, il testo qui dice che Egli "non salirà in mezzo al popolo", similmente sono usate espressioni di questo tipo con l'uso del verbo: camminare, passeggiare. Egli non "passeggerà" più in mezzo al popolo come aveva fatto finora. Il verbo "passeggiare" è più volte usato nella Bibbia per designare la Shekinàh, la Presenza Divina. D-o guida e custodisce il Suo popolo passeggiando in mezzo ad esso: "מתהלך "(mithalech=passeggia) come in Deut 23.5 :
    "4 Conciossiachè il Signore Iddio tuo cammini nel mezzo del tuo campo, per salvarti, e per mettere in tuo potere i tuoi nemici; perciò sia il tuo campo santo; e fa' ch'egli non vegga alcuna bruttura in te, onde egli si rivolga indietro da te." (Deut 23, Diodati)
    Lo stesso verbo "מתהלך "(mithalech=passeggia) è usato in Gen. 3:8, dove il soggetto è la Voce Divina:
    "Poi, all'aura del dì, udirono la voce del Signore Iddio che camminava per lo giardino." (Gen. 3.8, Diodati)
    La Presenza Divina è ugualmente raffigurata con lo stesso identico verbo in 2Samuele 7:6:
    " Conciossiachè io non sia abitato in casa, dal dì che io trassi fuori di Egitto i figliuoli d'Israele, infino a questo giorno; anzi son camminato qua e là in un padiglione ed in un tabernacolo." (Diodati)
    Diodati aggiunge le parole "anzi" e "qua e la" assenti nel testo ebraico e che ne cambiano il senso, come hanno fatto in modo simile altre traduzioni.
    Il distacco, la mantenuta distanza, l'allontanamento della Shekinàh vengono messe in pratica da Moshè, che subito obbedisce trasferendo il Tabernacolo fuori dall'accampamento:
    " 7 E Mosè prese il Padiglione, e se lo tese fuor del campo, lungi da esso; e lo nominò: Il Tabernacolo della convenenza; e, chiunque cercava il Signore, usciva fuori al Tabernacolo della convenenza, ch'era fuor del campo. " (Es. 33:7, Diodati)
    Il popolo ora è invitato a pentirsi, a fare tshuvàh, il ritorno a D-o. Ora è il popolo che deve cercare di avvicinarsi D-o, che offeso dalla grave trasgressione del vitello d'oro, si era allontanato da esso.
    L'allontanamento rappresenta dunque l'offesa e Moshè farà da intermediario per placare l'ira divina che ancora continuava a minacciare la distruzione dell'intero popolo. A causa della gravità della trasgressione D-o aveva infatti proposto di mantenere le promesse fatte ai padri, attraverso una nuova discendenza il cui capostipite sarebbe stato Moshè. Ma egli si rifiuta e lotta con tutte le sue forze perchè il popolo non venga distrutto. Egli contende con D-o come se contendesse con un uomo e come un avvocato disperato invoca il Cospetto Divino in vari modi per ottenere la Grazia. Questa sua strenuante lotta lo farà divenire il più grande di tutti i profeti, il più potente di tutti gli avvocati, ma il segreto della sua riuscita fù l'essere l'uomo più umile della terra:
    " 3 Or Mosè era un uomo molto umile, più di ogni altro uomo sulla faccia della terra."(Num 12:3, N. Riveduta).
    L'espressione di Esodo 33:11:
    " Ora, il Signore parlava a Mosè a faccia a faccia, come un uomo parla al suo compagno." ha il senso di contendere, lottare, confrontarsi. L'espressione ebraica "panim el panim" qui deve essere intesa come "fronte a fronte" nella lotta giuridica di Moshè per salvare il popolo come analogamente è usata in Gen 32:31 nella lotta di Giacobbe per salvare se stesso nella sorpresa notturna del nemico che lotta con lui fino alle prime luci dell'alba.
    Come abbiamo spiegato nell'introduzione il termine "panim" in ebraico ha vari significati ed è usato spessissimo in linguaggio figurativo oltre che il letterale ed il simbolico. Per spiegare l'espressione "panim el panim" di Gen 32:11, Or haChaim ci rimanda a II Re 14:8 dove questo termine indica il fronte nella battaglia.
    " Allora Amazia mandò messaggeri a Ioas figlio di Ioacaz, figlio di Ieu, re di Israele, per dirgli: «Su, guardiamoci in faccia»." (II Re 14:8,CEI)
    Riportiamo ora l'espressione: «Su, guardiamoci in faccia» di questo verso da varie traduzioni:
    «Vieni, affrontiamoci!» (N.Riveduta)
    'Vieni, mettiamoci a faccia a faccia!'(Luzzi)
    "Vieni, veggiamoci in faccia l'un l'altro." (Diodati)
    «Vieni, affrontiamoci l'un l'altro in battaglia». (Nuova Diodati)
    "orsù, misuriamoci" (Mariani, Garzanti)

    L'uomo più umile della terra ebbe il coraggio di contendere con D-o per salvare il suo popolo e l'Onore Divino davanti ai popoli gentili, che sarebbero stati delusi se quel popolo, che era stato protagonista di così tanti portenti, venisse distrutto. Ma Moshè chiede di più, non solo esige la Grazia, ma invoca anche il rispristino della Shekhinàh, cosciente che senza il Culto Divino il popolo di Israel non sarebbe sopravvissuto. Allo stesso modo anche Giacobbe dovette lottare per salvare il nascente popolo di Israel dall'abolizione del culto voluta dal fratello Esav. Secondo la tradizione orale infatti Esav non volle assolvere il proprio dovere e non portò a termine i compiti sacerdotali richiesti dalla primogenitura e Giacobbe dovette ricorrere all'inganno proponendo se stesso come primogenito-sacerdote cosciente del fatto che senza la religione dei padri il popolo di Israel non avrebbe avuto ragione di essere. Giacobbe lottò anche fisicamente contro la politica di opposizione del fratello nella lotta col suo messaggero durante l'ingresso in Erez Israel e poi richiese la benedizione Divina ed il riconoscimento della sua primogenitura ottenuta attraverso l'inganno. Anche Giacobbe dunque richiede la Grazia presentandosi al fratello nel pericolo con la sua pretesa di portare avanti i suoi ideali cultuali. Moshè, come Giacobbe dovette affrontare due lotte, una spirituale e l'altra fisica: contende con D-o come per costringerlo con gli inganni giuridici ad ottenere la Grazia e muove guerra con la sua tribù contro i colpevoli del culto straniero del vitello d'oro, i rappresentanti dell'opposizione che attenta alla sua stessa vita.
    L'espressione: "panim el panim" ricorre nella Bibbia sempre nel senso di giudizio e lotta giuridica:
    1)In Genesi 32:31 nella lotta di Giacobbe.
    2)In Esodo 33:11 nel nostro capitolo, nella lotta di Moshè.
    3) In Deut. 34.10 nel proclamare il più alto grado di profezia di Moshè ricordando quella lotta giuridica.
    4) In Giudici 6:22 nella lotta di Ghid'on ben Yoash per ripristinare il Culto Divino e l'abolizione del culto straniero.
    5) In Ezechiele 20:35 nel giudizio finale:
    " vi condurrò nel deserto dei popoli e verrò in giudizio con voi a faccia a faccia; " (Ez. 20:35 N. Riveduta)
    "vi condurrò nel deserto dei popoli e lì a faccia a faccia vi giudicherò." (C.E.I.).
    Appurato dunque che anche l'espressione "panim el panim" non è antropomorfa continuiamo ora con lo svolgimento dei fatti descritti nel cap.33.
    Quando il popolo udì che sarebbe stato trasferito il Tabernacolo (simbolo della presenza divina) fuori dell'accampamento fece lutto considerando quest'atto una cosa gravissima. Ora, dopo il trasferimento, la difesa di Moshè si svolge dentro il Tabernacolo con l'ingreso serrato dalla nuvola visibile dall'esterno al resto del popolo e non dunque sul monte. Il popolo attende impaziente i verdetti divini e ciascuno si prosta all'ingresso della propria tenda alla vista di quella misteriosa nuvola. Moshè apre la difesa (v.12): ecco vedi, Tu mi dici: "fai salire questo popolo", e Tu non mi hai mostrato cosa manderai con me e Tu hai detto: "ti mostrerò in nome" (=ti renderò famoso) e anche: "hai trovato Grazia ai miei occhi".
    Come dire: mi hai costituito condottiero di questo popolo senza però dirmi con chi ho a che fare, senza rivelarmi le sue tendenze peccaminose, avresti dovuto informarmi ed io avrei agito di conseguenza. Tu invece mi hai parlato di Grazia, hai detto che ho trovato Grazia davanti a te. Ora mi ritrovo peccatore con un popolo che si è macchiato di un peccato gravissimo ed anche io sarò ritenuto reponsabile di non essere stato un buon condottiero.
    Moshè, si sente in colpa anche per aver distrutto le Tavole del Patto e contende con D-o che prima gli aveva parlato di Grazia e ora minaccia di distruggere il Suo popolo privandolo del suo culto, della Sua Presenza. Già all'inizio della sua missione, durante la rivelazione nel roveto, Moshè aveva mostrato i primi dubbi riguardo alla fede del popolo. Con l'umiltà di Moshè che gli impediva di esercitare il ruolo di oratore che impartisce ordini ad un popolo, a suo dire, di poca fede, si ritenne necessario un cambiamento di programma, la scelta di un altro oratore, il fratello Aharon primogenito-sacerdote, il quale avrebbe ricevuto ordini in privato direttamente da lui senza così compromettere l'alta qualità dell'uomo più umile della terra. La rottura delle tavole è la conseguenza della rottura del Patto derivata dalla grave infrazione del culto straniero del vitello d'oro, la violazione della prima e seconda regola del Patto inciso col dito di D-o nella pietra. In un momento di ira Moshè aveva lasciato cadere le pesanti tavole tagliate e lavorate direttamente dalla Divinità e poi, a pace fatta, con la ripostulazione del Patto Moshè rimedierà, dietro richiesta divina, tagliando da se le imponenti tavole di pietra sostitutive delle prime.
    L'umiltà di Moshè è sorpresa da trasgressioni e spedizioni punitive, che lui stesso sarà costretto a comandare. Avrebbe preferito che tutti fossero sotto la Grazia, senza mai assistere a punizioni, ma ora dovrà accettare il fatto che davanti ad una così grave trasgressione la direzione non può rimanere passiva.
    Moshè davanti a D-o esige la Grazia per tutto il popolo, non vuole che il popolo venga distrutto, egli ha mostrato di amare il popolo e di amare la Grazia e non ha ceduto all'allettante proposta di divenire lui stesso il capostipite di un nuovo popolo in sostituzione del popolo di Israel.
    Ma perchè D-o aveva scelto il più umile di tutti gli uomini per portare avanti una missione così difficile?
    Di solito i re, i condottieri sono persone dure, superbe, che credono necessario mostrare in pubblico la loro gloria per dare più peso ai loro poteri. Qui invece abbiamo il più grande condottiero della Storia che svolge la sua missione nascondendosi dietro le capacità oratorie del fratello.
    Ma la risposta sta proprio qui, nell'umiltà, è proprio questa eccelsa qualità che forma il vero condottiero. L'umiltà fa sì che il condottiero si sente allo stesso livello del più piccolo del popolo, amandolo e interessandosi di lui. Lo scopo delle punizioni non deve essere quello di terrorizzare il popolo per assicurarsi il potere, ma invece esse servono per correggere il popolo quando sbaglia, esse mirano a proteggere il popolo e non a proteggere il potere.
    Aharon è solo il portavoce di Moshè, egli non fù in grado di proteggere il popolo da quella grave trasgressione e, alla discesa del monte, Moshè ne fa una questione personale dicendo al fratello Aharon: "cosa ti ha fatto questo popolo, che gli hai permesso di commettere un peccato così grave?"(es.32:21) Quasi come se la permissività di Aharon fosse stata dettata dalla sua volontà di vendetta contro il popolo colpevole di qualche privata trasgressione nei suoi confronti. Sarà forse stata la incompresa umiltà di Moshè a condurre Aharon ad essere troppo permissivo non essendo stato in grado di distinguere la vera umiltà dall'ipocrisia. Oppure il ruolo di portavoce era troppo difficile da mettere in pratica specialmente quando non si condividono le idee ed i metodi del vero condottiero ed Aharon era forse troppo infastidito dal difficile compito di avere a che fare con un popolo che, a suo dire, tende al male. Egli infatti risponde che anche Moshè avrebbe dovuto sapere di questa nota tendenza e che quindi la gravità del peccato andrebbe ridimensionata. Ma abbiamo visto che Moshè apre la sua difesa giuridica davanti a D-o proprio su questo punto lamentandosi del fatto che D-o non gli aveva fatto conoscere questo lato negativo del popolo. Quando un popolo pecca il condottiero si sente colpevole di non aver condotto bene il suo popolo, di non aver fatto abbastanza i preparativi per proteggerlo durante la sua assenza. Con la rottura delle tavole Moshè complica il suo rapporto con D-o ponendosi egli stesso nella stessa condizione del popolo sciogliendo il divino accordo di cui anch'egli era parte.
    Moshè continua dicendo: " e adesso, se [è vero che] ho trovato Grazia davanti a te mostrami le tue vie (=la tua Grazia) e ti conoscerò (=il tuo modo di fare Grazia) così che troverò Grazia davanti a te e guarda perchè questo è il tuo popolo" (Es. 33:13)
    Il senso di questa frase è più comprensibile se si comprende bene quella successiva che costituisce la risposta di D-o: " ויאמר פני ילכו והנחתי לך " (wayomer panai ielechu wahanichoti lach=il mio cospetto andrà e mi calmerò a te).

    (continua)



    Questo articolo è discusso su: "Antropomorfismi biblici"

    Edited by Abramo - 6/6/2007, 13:29
     
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